Roberto Laneri

Compositor

Recensioni su Winterträume, de-compositions & re-compositions (Da Vinci Publishing)


Il musicista e compositore jazz Roberto Laneri entra in un proficuo dialogo con la grande tradizione occidentale della musica classica. Mutuando da una pratica “antica quanto la musica stessa”, come la definisce lui stesso, Laneri considera i capolavori del passato come una materia che può essere manipolata, “scomposta” e “ricomposta”, in un processo non irrispettoso, ma che piuttosto rivela la profonda ammirazione da lui nutrita per la musica del passato, pur appropriandola nel proprio linguaggio. Le fonti impiegate da Laneri vanno da Dowland a Weill, da Tarrega a Liszt, da Debussy a Strauss, e nella maggior parte dei casi sono trasfigurate per rappresentare visioni di un inverno immaginario. Laneri suona clarinetti e sassofoni in tutto l’album, ma considera anche il processo di registrazione e missaggio come un’attività compositiva a sé stante. Si può dire che questo CD non è la registrazione di opere d’arte musicali, ma piuttosto è un’opera d’arte musicale in sé.
DA VINCI PUBLISHING, 2023

 

Recensioni su The Best Contemporary Classical on Bandcamp (March 2023)


The taxonomy of contemporary classical music—new music, contemporary music, whatever you want to call it—is a thorny issue. But every month, we’ll take a look at some of the best composer-driven music to surface here on Bandcamp, that which makes room for electronic experimentation, improvisation, and powerful takes on old classics.

Blume
Milan, Italy
Harmonic Crystals Roberto Laneri

While studying music at the University of California in San Diego in 1972, the Italian composer and musician Roberto Laneri first encountered a field recording of overtone singing—the multiphonic vocal tradition famously woven into the fabric of life in places like Tuva, Mongolia, and Corsica. As he writes of that cataclysmic encounter in the liner notes to this new project, “All the avant-garde vocal attempts and oddities I was very much into at the time were shattered instantly by a voice which literally seemed to come from nowhere and everywhere, from inside and outside, carrying a kind of information which I can still feel pulsing and acting today, pointing to possibilities of connecting to sound in ways Western music had left unexplored or abandoned a long time ago.”
Working with extended vocal techniques, he began a lifelong exploration, dropping La Coda Della Tigre, an underground classic with an ensemble called Prima Materia, a year later. This new endeavor, recorded during the summer of 2019 in Rome, brings single-minded focus to that practice, with a series of 86 eight-minute studies (spread across a dozen cassettes housed in a wooden box) unfolding over nearly 12 hours. Using only subtle sine tones as a guide, Laneri digs deep into close interval singing, unleashing sustained vocal drones where the separation of partials is clear as day. The project is monumental in its rigor, and while it’s clearly not for everyone, the music is as immeasurably expansive and evocative, an unparalleled meditation.
By Peter Margasak · April 04, 2023

 

Recensioni su South of No Border (Black Sweat Records, 2021)


Roberto Laneri è un ben noto concertista e didatta, instancabile esploratore della dimensione del suono come veicolo di coscienza di stati “diversi” fin dagli anni Settanta. Ideatore del progetto Prima Materia, maestro delle tecniche vocali del canto armonico, polistrumentista di estrazione jazzistica (clarinetto, clarinetto basso, sax sopranino, soprano ed alto, djdgeridoo e shruti box), compositore dal curriculum prestigioso che ha suonato, tra gli altri, con Bruno Tommaso, Giancarlo Schiaffini, Mario Schiano, Charlie Mingus, Peter Gabriel, Alvin Curran, Cornelius Cardew, non ha mai smesso di praticare “strade di suono e di pensiero già anticamente tracciate” (World Music Magazine n. 50, 2001), consapevole che a contare è il percorso soggettivo piuttosto che la strada in quanto tale. Così “South of No Border”, che si presenta con un bell’art work (“Verzura”, creato da Noura Tafeche), è stato registrato in un arco temporale di quattro anni, tra il 2014 e il 2018, pubblicato sul finire del 2021 ma in circolazione dall’anno successivo e proietta già dal titolo in una fitta geografia sonora che punta verso Sud, ma non conosce confini. Siamo all’ascolto di un Laneri attento alla cura del suono, mai conformato a intenti collaudati, la cui proiezione appare meno onirica e austera, però sempre evocativa anche se di certo più distesa. In questo nuovo capitolo il compositore di Arzignano (Vi) di lunghissima residenza romana è coadiuvato da Giuppi Paone e Raffaela Siniscalchi (voci, rispettivamente in “Blue Ishtar” e “Islands”), Eleonora Vulpiani (chitarra in “Islands”), Luigi Polsini (contrabbasso in “Mala”) e Luigi Marino (zarb in “Mala” e Blue Ishtar”). Sono soprattutto i fiati a condurre in un universo sonoro aperto, dove confluiscono con piacere visionariamente narrativo e stratificato di linguaggi e distanti tradizioni musicali. Se le coordinate dei tredici minuti di “Mala”, già registrata in “Winds of Change” (2018), sono sospese tra le strutture della musica indostana e il fluire di paesaggi danzanti maghrebini, con “Tico-Tico no fubá”, un choro brasiliano composto da Zequinha de Abreu nel primo Novecento, e “Con Tigo En La Distancia”, un bolero cubano di César Portillo de la Luz, procediamo verso le Americhe. Gravita intorno al mondo latino-americano anche “Islands”, in cui si affaccia un’elegante ed arguta estetica jazzistica orchestrale. Umori mediorientali ammantano la fascinosa “Blue Ishtar”, uno dei vertici dell’album: qui, come nella conclusiva “Love is”, dove i caldi fraseggi dei fiati incontrano il tratto ipnotico del didjeridoo, Laneri fa prevalere ancora la sua formazione jazzistica che si somma alle sue molteplici esperienze di fusione di musiche del mondo, senza rinunciare alla cantabilità del tema. Indubbiamente affascinante questo sconfinato viaggio sonoro: è musica sana e vitale.
Online il n.582 di Blogfoolk, Ciro De Rosa, 2 febbraio 2023

 

Recensioni su Roberto Laneri, “Musica finta / Blue Prints” – Da Vinci Classics


Il polistrumentista Roberto Laneri si ripresenta con due album registrati rispettivamente nel 1998 e in un arco temporale che va dal 2014 al 2018. Ma procediamo con ordine. “Musica finta / Blue Prints”, registrato come si diceva nel 1998 ma pubblicato solo nei primi mesi del 2020, va inquadrato correttamente grazie al sottotitolo “A Study in Metamusicology”. Si tratta, cioè, di un album assai complesso, di lettura difficile, in cui Laneri – come egli stesso afferma, suonando al sax soprano alcuni rags di Scott Joplin ha provato ad introdurre dei cambiamenti nel testo, dapprima minimi, poi sempre più articolati, fino ad arrivare alla composizione di pezzi autonomi e paralleli, da suonarsi assieme ai pezzi originali. “L’effetto di questa estremizzazione – aggiunge Laneri – è paragonabile alle prospettive impossibili di Escher, oppure ai disegni tridimensionali generati al computer, dai quali possono emergere immagini complementari eppur assai diverse da quelle immediatamente apparenti”. Fin qui le premesse metodologiche. Ma il risultato musicale? Laneri presenta composizioni originali, unite a quelle di Schumann, Schubert ma anche Joplin e Jelly Roll Morton. Quindi linguaggi differenti ricondotti ad unità per una sorta di opera di ampio respiro divisa in cinque capitoli. Per questa impresa Laneri (sax soprano, sampling e sound treatment) ha chiamato accanto a sé la pianista Maria Jolanda Masciovecchio e Alan Ferry come spoken voice.
A PROPOSITO DI JAZZ, di Gerlando Gatto, newsletter 14 maggio 2022

 

Recensioni su SOUTH OF NO BORDER


“South of No Border” (come si diceva registrato tra il 2014 e il 2018 ma anch’esso pubblicato poche settimane fa) vede Roberto Laneri (clarinetto, clarinetto basso, sax sopranino, sax soprano e alto, didjeridoo, shruti box, voce e percussioni) alla testa di un gruppo comprendente Giuppi Paone voce, Raffaela Siniscalchi voce, Eleonora Vulpiani chitarra, Luigi Polsini contrabbasso e Laugi Marino zarb. Contrariamente al primo album, in questo caso il repertorio è come una sorta di finestra affacciata sulle musiche del mondo. Ecco, quindi, dopo l’apertura affidata alle melodie orientaleggianti di “Mala” (scritta da Laneri), il choro brasiliano “Tico-Tico no fubá” (scritto da Zequinha de Abreu nel 1917, accanto al bolero cubano “Con Tigo En La Distancia” scritto dal cantautore César Portillo de la Luz quando aveva 24 anni nel 1946, il tutto impreziosito da 4 original del leader. A confronto con un tale repertorio, Laneri dà ancora una volta prova non solo della sua indiscussa preparazione tecnica ma anche della profonda conoscenza del panorama musicale internazionale. Le sue interpretazioni risultano, quindi, assolutamente pertinenti: traendo feconda ispirazione da svariate tradizioni, riesce a produrre una sintesi che non conosce confini geografici grazie ad una concezione visionaria della musica senza barriere. Insomma un disco originale nella concezione e nell’esecuzione.
A PROPOSITO DI JAZZ, di Gerlando Gatto, maggio 2022

 

Recensioni su WINDS OF CHANGE


Ci sono altre chiavi di lettura per “Winds of Change” che si svela ascolto dopo ascolto nella sua complessità e stratigrafia. Intanto Laneri è compositore di valore che trova nel polistrumentismo (sopranino, soprano, alto, clarinetto basso e didgeridoo) una varietà di colori sonori e dimensioni acustiche perfettamente integrate con il resto del gruppo che – in un’estetica dalle venature cool – non utilizza né batteria né percussioni. Inoltre è autore di brevi quanto efficaci testi in cinque brani. (…) In effetti il polistrumentista non utilizza i generi “canonici” del jazz, piuttosto li evoca e crea nuove forme, come nel caso di “Winds of Change”, un canto di speranza che si nutre della forza cosmica della natura. C’è grande bisogno di messaggi positivi, oggi.
(Parliamo di jazz, 27.03.2018, Luigi Onori)

 

Recensioni su PRIMA MATERIA


…un gruppo nutrito di persone, soprattutto giovani, si è raccolto attorno a Roberto Laneri, Michiko Hirayama, Susan Hendricks e Alvin Curran, per gustare con loro momenti di sublimazione musicale raggiunti mediante l’atmosfera creata dalle loro voci. Sulla maestria vocale dei quattro interpreti non vi è dubbio. 
(Como, La Provincia, Oct. 1973)

…incredibile e pieno di fascino il modo in cui gli armonici si sovrappongono lentamente l’uno sull’altro… 
(Berlin, Der Tagespiegel, 20.10.1974)

…gli armonici prodotti e modulati dai cinque si concatenano in costruzioni di una soavità incontaminata. E allora si resta incantati a riascoltare suoni armonici disposti secondo accordi perfetti. Come diceva Zarlino. 
(La Repubblica, 25.03.1976)

…si tratta di un gruppo originalissimo, per non dire unico… Quello che l’ascoltatore riceve è qualcosa di molto affascinante, di inusitato, tanto più se occidentale. PRIMA MATERIA… ci ha fatto udire l’inudibile. Un’esperienza affascinante… 
(Amsterdam, De Volskrant, 20.06.1977)

..il gruppo più incredibile PRIMA MATERIA, tre uomini e due donne che usano queste tecniche vocali a scopo di meditazione… 
(Rotterdam, Algemeen Dagblad, giugno 1977)

Le improvvisazioni di PRIMA MATERIA …erano assai più valide, non soltanto a causa della loro tecnica respiratoria e del loro canto da capogiro a suoni doppi, estremamente avanzato, ma anche per il modo in cui si esibiscono. …Dopo due improvvisazioni (della durata di più di mezz’ora ciascuna), si è sentita abbastanza musica, e tuttavia se ne vorrebbe ancora. 
(Harlems Dagblad, giugno 1977).

..Il momento più interessante del festival è poi arrivato con le improvvisazioni vocali di PRIMA MATERIA… 
(Musica Viva, maggio-giugno 1978)

Roberto Laneri ha percorso la strada della musica contemporanea. …Costruisce le sue giungle musicali moltiplicando la sua voce su nastro magnetico: un sintetizzatore umano! Mistico, lo è stato, ora è passata. Al presente, divertente, colto, intrattenitore, esteta. Nei suoi seminari, fa fare un po’ d’esercizi e parla abbondantemente….E’ vero, ho visto le persone davanti a me produrre armonici perfettamente percepibili, anche se essi stessi all’inizio non li percepivano. E I buoni difonisti percepiscono dei suoni sempre più acuti, armonici sempre più alti, gli stessi armonici nel rumore del vento, nel motore dell’automobile, nella voce di un tenore d’opera. Un processo infinito… Suoni che guariscono, ipnotizzano, manipolano, seducono. Il canto armonico permette di ritrovare il contatto. Forse è un mito. Ma una cosa è certa: più ci si avvicina agli armonici naturali e più si acquista risonanza. 
(Actuel, 1987)

“As is the case with La Monte Young’s Theater of Eternal Music, David Hyke’s Harmonic Choir and Pauline Oliveros’s Deep Listening Band, Roberto Laneri has had a life long penchant for the droning mysteriosa of the Sound Current and with the Prima Materia ensemble he has expressed it in a disciplined, expansive and singular way” 
(Terry Riley, 2005)

The way of the holy longform vocal drone is most strongly associateci with the mystical wing of the American post-war avant garde, particularly La Monte Young and Terry Riley. But there were adherents in old Europe too. Resplendent in their matching white robes and long hair, Italian a cappella vocal group Prima Materia were the most accomplished. Active through the latter half of the 1970s, they released a single album on a label set up by MEV’s Alvin Curran and Giacinto Scelsi, which has now been lovingly reissued by Die Schachtel.

Prima Materia leader Roberto Laneri’s concerns were very much ofthe period: he wrote a thesis on “sound as the vehicle of altered states of consciousness”, exploring his interest in Asian tantric techniques, Ur-klang trance states and the collective unconscious. The concepts may no longer resonate in the same way, but the group’s music remains an intensely focused and ascetic experience, slicing through the brain with narrow-beam psychedelic power. Sustained vocal drones, originating deep in the throat and diaphragm, are layered one over the other in impossibly long, treacle slow pulses. At times, Prima Materia might draw upon recognisable North Indian and Tibetan vocal techniques, but a concentrated monastic minimalism rather than florid ornamentation characterises their approach.
Resonance becomes key to the interest of the music, as the sedimented voices conspire to produce gorgeous overtone clusters that float lazily across the still surface of the drone like threads of lightning over a midnight prairie.Two unreleased live tracks (one of which is a full 12 minutes shorter than the advertised time given on the sleeve) are equally strong. But the one recorded at the 1974 Berlin Metamusik Festival burrows particularly impressively into nasal Mongolian khoomi territory and Diamanda Galas-like speed glossolalia. The exquisitely designed silver on white package includes a booklet of fractal mandala patterns on translucent paper. 

(The Wire, by Alan Cummings)

Formed in 2003, die Schactel has been putting together some uniquely beautiful albums, mostly archival releases, of impossibly rare avant-garde sound pieces and other-worldly music. They certainly out-do themselves and just about anyone around with their packaging, but the sounds contained within are the real treat. I was first hooked by their release of Insiemusicadiversa: a reissue of an early 70’s avant experimental record, knee deep in mad, Fluxus-inspired mayhem. Along with posh CD issues, die Shachtel also issues delicious artist edition-style LP’s that are very limited and just plain decadent with their layout. Started by Roberto Laneri in 1973, Prima Materia was a group of musicians working with extended vocal techniques, using these techniques to create sustained drones composed purely of human vocals. Involved with the project were notable composers Alvin Curran and Giacinto Scelsi whose label originally released this album in 1977. The group toured, performing at numerous European music festivals, before their split in 1980. Presented here with serene white & silver photographs and a beautiful booklet of hypnotic designs, The Tail of the Tiger is the sole release by Prima Materia. This disc presents that entire LP and two previously unreleased live performances. The feeling captured here is hard to describe. The all-vocal choral-drones moves from dirge-like to bombastic, eerie to beautifully surreal. It’d be hard to choose which genders voices turn in the most striking parts. One wouldn’t dare attempt to break it down but each contributes seriously moving portions, along with moments that are sexually indistinguishable. True howling of the soul, label-less, just cathartic and pure. Occasionally the skin crawls, the shrieks rise above the current and tickle your tympanic membrane until your jaw twitches. The music here is a true testament to the power and range of the human voice, to the abilities of the human body to create stunning sounds. We also have a test for your ears and your stereo. Can you hear the subtle nuances; can you pick apart the different layers of voice? There are moments where voices no longer sound human, where they sound like an amplifier feeding back or a large machine humming in a cavernous factory. Played on decent equipment, these sounds enter your chest and take your breath for a moment. It’s remarkable to experience. The sounds here are haunting and playful, religious and darkly sinful. The music still sounds frighteningly fresh and vibrant. These are the sounds of artists who were looking to test the limits of their own capabilities, the bounds of voice. It’s car engines, it’s grain mills, it’s train tracks, and it’s opera records sitting in the sun. Eastern musics are acknowledged, as is minimalism. I am not the first to note a resemblance in desire and technique to that of the Theatre of Eternal Music. All of that is here and so much more. I advise anyone with an interest in extended drones, marvels of the voice or who are curious to hear what occurs when someone actually. 
(Indieworkshop, by Adam Richards)

On the same Italian label that brought us that lovely Luciano Cilio disc in 2004, here’s more import-expensive but totally worth it amazing archival material (in ultra-nice digipackaging to sweeten the deal) from the Italian ’70s sonic art underground, specifically Roberto Laneri’s Prima Materia vocal drone ensemble. This is some heavy stuff here — and heavy can mean a lot of things, AQ list readers have come to realize. In this case, it’s heavy the way that Tibetan Buddhist Rites From The Monasteries Of Bhutan double disc reissue we listed last year was heavy (so said our distro rep when we ordered this, and he was right!). And this mesmerizing, yogic drone-fest does have a monkish sound, being produced entirely by live human voices, gargling and moaning and droning. Though if you didn’t know that, you might think it was in part electronic. It’s the sound of wind and weariness, sorta spooky and haunted, wavering and weaving, building and building, with overtones galore, a howling of souls into the Universe. Like a bunch of Tibetan monks or Tuvan throat singers wordlessly saying woe is me… and we’re pretty sure that one of ‘em at least sounds a heckuva lot like Elmer Fudd!! Seriously, though, it’s really good and intense and magical… if you’re a trance/drone fan (maybe digging stuff like Grouper, that has a vocal component), you should listen to this!
We’re told that “the musicians of the group Prima Materia individually researched and developed unusual vocal techniques (originally used in Tantric rituals in North India, Mongolia and Tibet), based upon the use of overtones coupled with a special state of inner concentration, which was the essential condition for both the emission and control of long-sustained and complex vocal sounds. Their capacity to sustain a note for what seems an eternity, and then continue to provide endless variations generated a continuous and sustained drone of sound, in which the overtones are clearly perceived.” We believe it.
The Tail Of The Tiger LP was originally released in 1977 as a private pressing by a small label run by Laneri, Alvin Curran and Giacinto Scelsi. Now, this digitally remastered cd reissue features the 33 minutes and 30 seconds of music from the original LP plus another 42 minutes of live performance recorded in Berlin in 1974 and Rome in 1976. And it’s packaged not just with a booklet of liner notes but also 16 pages of “visual overtones”, beautiful full color prints on tracing paper. Yup, nice! And it case you’re still unsure, the blurb on the cover sticker contains high praise from none other than Terry Riley, who knows his drones. 

(Aquarius, Usa)

In 1977 Italian label Ananda, owned by Roberto Laneri, Alvin Curran and Giacinto Scelsi, issued this recording of long and dense trance-inducing drone of sustained notes, rich with overtones and harmonic embellishments. The area of music explored seemed so vast that it seemed almost of non-human, even electronic in nature. Paradoxically, the recording was produced using only the most original and archaic of instruments: the human voice. The musicians of Prima Materia individually researched and developed unusual vocal techniques originally used in Tantric rituals in North India, Mongolia and Tibet, based upon the use of overtones coupled with a special state of inner concentration, which was the essential condition for both the emission and control of long-sustained and complex vocal sounds. Their capacity to sustain a note for what seems an eternity, and then continue to provide endless variations generates a continuous and sustained drone of sound, in which the overtones are clearly perceived. This CD digitally remasters the original LP recording, and also presents two live concerts from 1974 in Berlin and 1976 in Rome. Beautifully packaged in a triple-fold digipack with a booklet in Italian and English, and a stunning booklet of complex circular artwork on semi-transparent paper. 
(Squidco, Usa)

It was only under the gaze of soft morning light that I noticed the hidden layer of cover art that adorns the most recent Die Schachtel release. Composed in the label’s telltale silver on white motif, the jpeg file may slightly capture the gorgeous Tibetan mandala, but nothing more. Only when physically held in hands toward the light does the cover reveal an ornate exploding blastula pattern etched in a clear gloss. And wait until you see the transparent booklet of more complex mandala design that accompanies it. A reissue of Roberto Laneri’s six-person group, Prima Materia, the package is literally illuminated beauty. Originally released on the Ananda imprint (who, if you’re wondering who the labelheads might be, is MEV co-founder Alvin Curran and master of the monochord and the Jenny Ondioline, Giacinto Scelsi), Prima Materia is the result of composer Roberto Laneri’s studies into the transcendental study of sound as achieved by the overtone singing of the human voice. The most noticeable touchstone for such a group cannot be found in much Western music, but rather in the Tantric rituals as practiced in North India, Mongolia and Tibet, and the resulting out-of-time trances that such regions produce with their singing. As the notes attest, the discipline lies less in the physical regiment and more in the inner concentration necessary to reach such psychic states. That all six members of Prima Materia are dressed in flowing white robes, their hair and beards unshorn suggest the spiritual dedication that such work also entails. But don’t expect some hippy-dippy vibes here, as the sound is far heavier and difficult than that. The group name itself suggests a difficulty in pinning and naming the source of such sound. As found in analytical psychology dictionaries, Prima Materia suggests a “primordial element, collective unconscious, unknown psychic substances, nocturnal sea-voyage, diminution of consciousness,” things not readily namable or understood. The six-person group strives not just for sound, but its absence as well, taking its cue from The Upanishads quote about sound and non-sound and how “non-sound is revealed only by sound.” The 30-minute main piece ebbs and rises with a guttural wave of multifarious voice that rises forth not from the lips but from the guttural depths of each person, and the two accompanying live versions from Berlin and Roma are similarly rooted. And what a haunting, delirious sound Prima Materia unleashes with their throats! Suggesting both Tibetan and Gregorian chants, Tuvan throat singing, Cornelius Cardew and the Scratch Orchestra’s The Great Learning, the overtone singing of Pandit Pran Nath as practiced by American minimalists like Terry Riley and La Monte Young, perhaps even the throaty growl of extreme black metal such as Corrupted, all coalesce here into something that defies description. Or as Laneri states in his notes: “Well, not only it’s (sic) not easy to sing it, it’s not easy to speak about it too.” 
(Dusted Reviews, Usa)

Die Schachtel, na co nazwa nie wskazuje, to ulokowana w Mediolanie wytwórnia, która od trzech lat przybliza dokonania mniej lub bardziej znanych wloskich twórców z kregu muzyki elektronicznej, konkretnej oraz sound-poetry. Ambicja twórców Die Schachtel (jednak nazwa zwiazana jest w Italia, bowiem jest tytulem pochodzacej z 1969 r. kompozycji autorstwa Franco Evangelisti) jest nie tylko publikowanie plyt z nieosiagalnymi dotychczas nagraniami z lat 60-80, lecz wydawanie niezwyklych wydawnictw, które lacza interesujaca muzyke z niezwykla i korespondujaca z nia oprawa graficzna. Nic zatem dziwnego, ze posiadajace niewielkie naklady winyle oraz kompakty dosc szybko staja sie pozycjami niedostepnymi. Na koniec tego wstepu warto jeszcze wspomniec, ze Die Schachtel to równiez rodzaj galerii, w której regularnie goszcza instalacje dzwiekowe, wystawy oraz inne wydarzenia zwiazane z muzyka elektroniczna. Godna rozpropagowania inicjatywa tandemu Bruno Stucchi-Fabio Carboni jest SoundOhm – strona internetowa, majaca byc swoistym kompendium wiedzy na temat muzyki awangardowej z lat 60-80 minionego stulecia. Poniewaz jest to nieustanny “work in progress”, twórcy zwracaja sie o pomoc do wszystkich osób posiadajacych wiadomosci, które umozliwia rozbudowe archiwum.
“The Tail of the Tiger” to reedycja jedynej plyty nagranej przez Prima Materia. Material pochodzacy z wydanego w 1977 r. przez niewielka wytwórnie Ananda, której wlascicielami byli Roberto Laneri, Alvin Curran i Giacinto Scelsi, albumu w wersji AD 2005 poszerzony zostal o dwa nagrania koncertowe z Berlina (pazdziernik 1974) oraz Rzymu (styczen 1976). Jednak niewielkie róznice dotyczace czasu oraz miejsca powstania tychze w zaden sposób nie wplynely na muzyke zespolu – zdawac sie moze, ze czas i jego uplyw niewiele maja z nia wspólnego. Twórczosc wloskiej formacji, porównywanej przez Terry Rileya, klasyka minimal music, a zarazem jednego z komentatorów reedycji, do Theater of Eternal Music, Harmonic Choir oraz Deep Listening Band, w jakis przedziwny sposób wymyka sie analizie umyslu.
Roberto Laneri, glówna postac Prima Materia, rozpoczal prace nad nietypowymi technikami wokalnymi w 1972 roku podczas studiów na Uniwersytecie Kalifornijski (zajmowal sie tam m.in.: dzwiekiem jako nosnikiem odmiennych stanów swiadomosci), zespól powstal rok pózniej w San Diego. Od samego poczatku wspólpracowala z nim Suzanne Hendricks, a po przenosinach do Wloch, skad Laneri pochodzil, do grona scislych wspólpracowników dolaczyli Gianni Nebbiosi oraz Claudio Ricciardi. Prima Materia istniala do roku 1980, w tym czasie przez jej sklad przewinelo sie wiele osób, m.in.: Alvin Curran, Michiko Hirayama i Maria Monti, regularnie koncertujac i propagujac spiew harmoniczny. Niestety nagran pozostawila niewiele – zdaje sie, ze istnieje tylko ten jeden album. Okreslenia: “minimalism, drones, overtone singing” wyczerpujaco przedstawiaja charakter zawartej na nim muzyki. Niezwyklym jest to, ze choc do stworzenia muzyki uzyto wylacznie ludzkich glosów, to rezultat wydaje sie nie posiadac cech ludzkich – tutaj brzmienia i posiadaja aure “elektroniczna”. I choc przyzwyczailismy sie juz do technik spiewaków Tuwianskich czy Tybetanskich, to wciaz jakze trudno jest uwierzyc, ze ludzkie cialo jest w stanie wydac takie dzwieki. Wyglada na to, ze jest glos ducha, a nie ciala, a te trzy nagrania zawarte na nowej edycji “The Tail of the Tiger” zaswiadczaja , ze podróz w glab duszy przynosi niezwykle rezultaty. Goraco te plyte rekomenduje. 

(Gaz-eta, Poland)

“…it is a mystic dialogue that brings us closer and closer to the source of light…” (Giancinto Scelsi, from the liner notes). Here’s another extraordinary sound document from the Italian label die Schachtel, the folks who brought us the genius Luciano Cilio album the year before last. This one features the work of Roberto Laneri and his extended vocal drone ensemble Prima Materia. Born in Italy, Laneri graduated from the University of California in San Diego with a thesis on “sound as the vehicle of altered states of consciousness” in the early-’70s, and for the remainder of the decade his ensemble Prima Materia would be the primary means of transportation. 
Using a wide variety of vocal techniques inspired by the musics of Tibet, Mongolia, and India, the members of Prima Materia created dense polyphonic drone music of intense concentration with clear affinities to the concurrent work of folks like La Monte Young, Pauline Oliveros, Tony Conrad, etc. The first 30-minute-long piece was originally issued by the Italian label Ananda, a short-lived artist run consortium headed by Laneri, the American composer Alvin Curran, and the elusive Giacinto Scelsi. Nearly impossible to find upon its initial release, and ever after for that matter, The Tail of the Tiger has been coupled with a further 35-minutes worth of material recorded while Prima Materia were at the height of their power. 
Die Schachtel again wins the award for most gratuitously beautiful packaging, as this reissue comes with a lovely white-on-white and silver embossed cover, metallic tinted liner-notes and photos, and a free-standing 16-page booklet of exquisitely printed multi-colored mandalas. These guys are setting the bar for what a proper reissue ought to look, and sound, like. 
(Other Music, Usa)

Recensioni sul didjeridoo


…si aggiunge lo straordinario contributo di Roberto Laneri, con le suggestive emissioni vocali del canto armonico e le note dell’australiano didjeridoo. 
(Giornale di Sicilia, 04.28.02)

…il canto armonico vibrante e gutturale di Roberto Laneri si fonde con il movimento. E anche I suoni generati col didjeridoo richiamano alle origini primordiali dell’esistenza umana. 
(Bergische Morgenpost, 06.03.03)

…unusual for its beauty and suggestion composer Roberto Laneri’s participation, as overtone singing specialist and a player of that peculiar Australian instrument, the didjeridoo… 
(La Sicilia, 7.08.2002)

…suoni della notte, cupi e rochi da rabbrividire, vengono riprodotti dal più incredibile fra gli artefici dello spettacolo: Roberto Laneri, (…) capace di creare (…) atmosfere acustiche di assoluita suggestione, al punto da trasportare l’ascoltatore in un’altra dimensione. Gli strumenti di cui fa uso sono particolarissimi: …il cosiddetto “didgeridu” australiano… La sola voce naturale, per Laneri è lo strumento più prezioso… 
(Giornale di Sicilia, 08.09.2001)

Recensioni su BLUESPRINTS/MUSICA FINTA


Il polistrumentista Roberto Laneri si ripresenta con due album registrati rispettivamente nel 1998 e in un arco temporale che va dal 2014 al 2018. Ma procediamo con ordine. “Musica finta / Bluesprints”, registrato come si diceva nel 1998 ma pubblicato solo nei primi mesi del 2020, va inquadrato correttamente grazie al sottotitolo “A Study in Metamusicology”. Si tratta, cioè, di un album assai complesso, di lettura difficile, in cui Laneri – come egli stesso afferma, suonando al sax soprano alcuni rags di Scott Joplin ha provato ad introdurre dei cambiamenti nel testo, dapprima minimi, poi sempre più articolati, fino ad arrivare alla composizione di pezzi autonomi e paralleli, da suonarsi assieme ai pezzi originali. “L’effetto di questa estremizzazione – aggiunge Laneri – è paragonabile alle prospettive impossibili di Escher, oppure ai disegni tridimensionali generati al computer, dai quali possono emergere immagini complementari eppur assai diverse da quelle immediatamente apparenti”. Fin qui le premesse metodologiche. Ma il risultato musicale? Laneri presenta composizioni originali, unite a quelle di Schumann, Schubert ma anche Joplin e Jelly Roll Morton. Quindi linguaggi differenti ricondotti ad unità per una sorta di opera di ampio respiro divisa in cinque capitoli. Per questa impresa Laneri (sax soprano, sampling e sound treatment) ha chiamato accanto a sé la pianista Maria Jolanda Masciovecchio e Alana Ferry come spoken voice.
(A PROPOSITO DI JAZZ, di Gerlando Gatto, maggio 2022)

Verrà un giorno in cui non si scriverà più musica nuova, e i compositori inventeranno altre note su partiture preesistenti. L’apocalisse è ancora lontana, ma Roberto Laneri-autore e strumentista, pioniere del canto armonico-la profetizza e crea il futuribile guardando al passato remoto, alla “musica ficta” medievale. Complice un sax soprano, Laneri ha applicato questa prassi nientemeno che a Franz Schubert. …non tanto variazioni, quanto “estensioni” dello spazio armonico e ritmico preesistente, proiezioni nel contemporaneo. 
(L’Unità, 7.05.1997)

I due concerti più originali dell’intera rassegna sono definibili, di fatto, come operazioni di rivisitazione vera e propria di opere del grande repertorio cameristico… quella del direttore artistico Roberto Laneri (che, sempre al sax, apriva l’intera rassegna) è stato qualcosa di più. …Roberto Laneri ha realizzato un vero e proprio “controcanto” che non si può più definire improvvisazione giacchè tutto è scritto, studiato e ripetutamente provato. La grande esperienza e maestria di Laneri hanno permesso a questa coraggiosa operazione di essere convincente sotto il profilo squisitamente musicale. In pratica si tratta di un percorso che si snoda “intersecando” progressivamente e sempre più in profondità generi, stili e suoni lontanissimi e che ci conduce progressivamente a comprendere (o meglio a “sentire”) le radici e le ragioni di una tradizione musicale, quella jazzistica, appunto, che a buon diritto Laneri considera “memorie di una musica che ha cambiato il mondo.” 
(Il Mondo della Musica, n. 135, marzo 1998)

Ho conosciuto Roberto tanti anni fa ascoltando il disco ANADYOMENE, uno dei suoi lavori più belli degli anni ’80, e sono rimasto soprattutto colpito dalla sua capacità di esprimersi oltre ogni schema. Ci siamo incontrati però solo nel gennaio ’98, quando lo ho invitato ad un mio programma radiofonico; in quella occasione ho scoperto ed apprezzato la sua ricca personalità artistica, sia come uno dei maggiori esponenti del canto armonico, sia come audace esploratore sonoro, sia, infine, come raffinato saxofonista e clarinettista jazz dai toni semplici e velati da sottile ironia, fuori dallo scorrere del tempo. Questo lavoro rappresenta un rientro di Laneri nel mondo del jazz con un interessante viaggio alle sorgenti della musica afroamericana nel periodo arcaico e classico, un omaggio al jazz che più ama offerto da un musicista moderno e al tempo stesso antico, in grado di fondere egregiamente echi di Morton, Bechet e Armstrong con originali riletture jazzistiche di composizioni classiche di autori dell’800 come Schubert e Schumann. (…) Ne risulta un progetto musicale di contaminazione tra jazz e musica classica perfettamente riuscito, pienamente godibile e decisamente atipico nell’attuale panorama jazzistico italiano. 
(Roberto Franchina)

Recensioni su LA VOCE DELL’ARCOBALENO


…e il geniale Roberto Laneri, che da solo spazia dall’Africa all’Oriente al pensiero mitteleuropeo, tra gli overtones vocali tibetani e un architettonico concept elettronico, tra le cantate pigmee e quelle di Bach. 
(Fare Musica, 08.07.86)

…la performance di Roberto Laneri, uno dei personaggi italiani che con maggior coerenza ed intelligenza hanno lavorato nell’ambito della ricerca sonora. 
(La Repubblica, 30.05.’86)

E tra i momenti più felici del festival va segnalata la solo-performance di Roberto Laneri, già fondatore dello storico gruppo PRIMA MATERIA e collaboratore del noto critico e operatore culturale Joachim Ernst Berendt nel progetto permanente Nada Brahma, che ha già girato mezzo mondo. Laneri è l’artefice di un’idea cosmologico-musicale che corre da Pitagora alle avanguardie storiche del Novecento, passando per Bach e per il Jazz, per l’elettronico. Sassofonista soprano multiforme (persino con Charlie Mingus e Peter Gabriel), specialista di strumenti a fiato di tutto il globo, gran manipolatore di sintetizzatori e straordinario cantante (con la tecnica tibetana degli overtones, o con un singolare falsetto), Laneri ha offerto, da solo, un set consacrato all’eclettismo più brillante e più totale. Ha prodotto armonici vocali, dove su una nota grave di bordone si sente modulare acutissimo quasi un melodico fischio, su un nastro di voci (sempre le sue) tratto dal suo ultimo album “Two Views of the Amazon” (Wergo); ha suonato i synth (programmati su fantasmatici registri a pitch oscillante) su due sue songs liriche e stralunate, “Black Lily” e “A Blossom”; ha eseguito la sua classica “Memories of the Rain-Forest”, minimalismo pentatonico e quasi blueseggiante, in un incrocio di sequencers e live electronics; ed ha concluso in falsetto cantando un’aria tratta dalla cantata n. 33 di Bach, usando i sintetizzatori in forma di “ensemble barocco simulato” alla Wendy Carlos. Il giro del mondo in un’ora di performance! 
(Tastiere, Sept. 86)

Recensioni su MEMORIES OF THE RAIN-FOREST


Non so cosa l’Africa mi dica veramente, tuttavia essa parla Questo disco è un avvenimento. Per molte ragioni. È il primo CD di Roberto Laneri, un artista di grandissimo valore che per svariati motivi non ha mai goduto della giusta fama. È un disco di musica d’avanguardia tutta italiano che vince il confronto con gran parte delle opere straniere. È un disco concepito in un arco di tempo molto lungo, sofferto, idealizzato, scaturito da percorsi interiori. Rimandato più volte nel corso dell’anno è ora facilmente disponibile. La frase di Jung che apre la recensione è tratta dal libretto del CD ed è quanto mai illuminante: posso affermare infatti che l’esperienza dell’ascolto riconduce a tempi remoti e a situazioni appartenenti alla storia dell’umanità, a quell’Africa culla dell’uomo e inizio del tutto, fonte tuttora di suoni e colori estremamente importanti per l’uomo occidentale. L’Africa di Roberto Laneri non ha connotati geografici, è piuttosto un’immagine, un punto di partenza, un pretesto per trasformare in musica l’evoluzione di realtà etniche molto lontane tra lore. Arte con la “A” maiuscola, musica di cosmiche proporzioni, nel senso che Roberto è riuscito a comporre con le voci del pianeta un’opera capace di esprimere qualche millennio di storia e a riunire in un’ideale sfera tutte le espressioni delle tradizioni popolari. Voce, un didjeridoo, qualche percussione, campionamenti di voci e ambienze primitive, con un filo di elettronica ad organizzare e arricchire l’insieme. Qui c’è una struttura compositiva senza, per fortuna, l’aridità dell’Accademia; c’è l’amore per l’improvvisazione, non la casualità della pochezza artistica; c’è la padronanza tecnica assoluta, non il dilettantismo di tanta musica d’oggi; un messaggio culturale ben preciso; un recupero etnico colto non motivato dalle mode. Sono con Roberto Giuppi Paone, voce indimenticabile e di immense potenzialità, e Daniele Patumi, con le corde del suo contrabbasso, vecchi amici fidati, perfettamente amalgamati al leader dopo anni di avventure comuni nei mille meandri delle contaminazioni artistiche. “Jung inAfrica”, attribuita a Peter Gabriel (ma c’è solo una base ritmica dell’inglese donata a Laneri durante le registrazioni di ”Gabriel IV”), “Hut Song”, “Mongombi II” e la title track sono un’immersione nel fogliame delle foreste equatoriali e rimangono impressionanti esperienze sonore: cantare qualche armonico è un conto, comporre con la voce e arrivare a questi livelli è ben altra cosa. In chiusura “Air” si spinge ai confini dell’esplorato, addentrandosi in territori avantgarde che farebbero arrossire molti cerebrali compositori. Come non accorgersi dell’enorme differenza di qualità rispetto agli altri santoni del Canto Armonico? Amo i quadri naif ma certo Kandinski è ben diverso! Hykes è oggi un semidio, Vetter invade il mercato di registrazioni, Bollmann e Goldman si sono creati un seguito; per anni Laneri, carattere schivo e riservato, è rimasto in ombra a comporre e pensare la sua musica, aspettando l’occasione giusta, lontano dalle luci e dal clamore: ha avuto ragione lui se oggi illumina le nostre menti con questo capolavoro. Non posso credere che in un mare di improvvisatori, venditori di fumo e mercanti di suoni, un artista come Roberto Laneri debba ancora attendere. “Memories of the Rain-Forest” lo impone all’attenzione del serio appassionato e deve fruttargli un posto di primato nel mondo dell’avanguardia. 
(Gianluigi Gasparetti, Deep Listenings n.2, Winter 1995)

Recensioni su INSIDE NOTES


…qui dentro si parla, o meglio si ascolta, della profondità del canto e del suono armonico. Perchè saper cogliere l’intima bellezza racchiusa negli intervalli tra le note fondamentali del suono è forse esperienza non comune, eppure universale. 
(Gino Dal Soler, World Music, n. 50,Settembre 2001)

Recensioni su SENTIMENTAL JOURNEY


Sonorita’ old stile anni ’40 (ricordi e base fondante dell’ artista) accostate a tutta la musica con la quale Laneri e’ venuto in contatto e che ha coltivato e studiato nel corso della sua vita di musicista: in questo ambizioso cd c’e tutto il sapere di questo eclettico strumentista, che sembrerebbe presentarci non tanto il risultato di tanto studio, ma i suoi addendi prima di esserne sommati. Dunque preparatevi ad ascoltare “Sentimental Journey” cantata dalla vocina sbarazzina di Giuppi Paone su una base di fiati (Laneri e’ polistrumentista) distorta dall’ elettronica, con effetto quasi incubotico anche se dall’ armonizzazione tradizionalissima. Simile alla colonna sonora di un thriller agghiacciante in alcuni momenti, in altri ipnotico: Laneri suona molto bene didjeridoo e didjeribone sottolineandone la ossessivita’ sonora con riff incalzanti di tastiere elettroniche (vedi Metamorphosis I). Oppure il suono colto del clarinetto basso su una poco rassicurante melodia di vento che soffia – “Soul Massage” – , e che si tramuta poi invece in un arrangiamento per fiati (senza ritmica, polifonico) quasi “regolamentare” (il quasi è d’ obbligo); il quasi è d’ obbligo anche nell’ esecuzione “scanzonata” di “Bach Aria” , tra jazz e Bach e stile Bobby Mc Ferrin, quasi Bach, quasi jazz, quasi contaminazione musicale ma non proprio: perche’ il tutto è, piu’ che novita’ derivante da assimilazione culturale di diversi generi musicali, “quasi novita’ “ derivante da mescolamento di generi che convivono giustapposti. Melodie romantiche (“Pienezza di luna”) con eco ad una frazione di secondo, che smuove l’ udito verso un’ inquietante raddoppio (trovata molto accattivante, bisogna dire, presente anche in “Polyphone”); canto armonico (di cui Laneri e’ studioso e praticante) unito al suono affascinante del flauto kontshovka e conseguente ricerca sonora di tipo estatico (“The Landing”); atmosfere oniriche o visionarie dopo trip con acidi (“Dream a Little Dream of me”) che non ci si stupirebbe di ascoltare guardando l’ennesimo capitolo cinematografico della serie “Saw – L’ enigmista”. In poche parole, un lavoro che certamente incuriosisce, desta interesse, ma del quale non si trova forse davvero quel senso compiuto a cui spesso la ricerca sonora riesce a tendere, come se tutto questo materiale musicale fosse accumulato in attesa di essere lavorato per diventare un nuovo materiale di ultimissima generazione. Un cantiere work in progress piu’ che un lavoro finito: o forse un’opera moderna di cui ancora non esistono parametri interpretativi perché troppo rivoluzionaria? La parola a chi ascoltera’ questo cd, sicuramente interessante e “discutibile” nel senso positivo del termine, cioè fonte auspicabile di pareri contrastanti. 
(Daniela Floris)

STATI ALTERATI DEL SOGNO-IN VIAGGIO CON LANERI
Un percorso di memorie, amori e irrefrenabili fantasmagorie tecnologiche nel laboratorio sonoro di un artista visionario.

Non capitano spesso dischi di Roberto Laneri, artista appartato e dalla squisita vocazione esoterica, musicista e ricercatore di lungo corso nel vasto mondo di quelle musiche e culture che oggi siamo soliti chiamare “altre”, marcando così una discriminazione che ancora resiste; mondi che abbiamo conosciuto, masticato e relegato nell’angolo, come soprammobili esotici. La ristampa di Sentimental Journey è l’occasione di riascoltare il mondo fantastico-onirico è riduttivo-di un musicista che da quasi quarant’anni, ben prima della cosiddetta world music, pratica la dimensione transculturale della musica. Il “viaggio sentimentale” di Laneri è un percorso di memorie, amori e irrefrenabilil fantasmagorie tecnologiche, combinate con un gusto che ama ricreare una percezione alterata, sfocata, tra sogno e laboratorio sonoro. Dal ricordo di Sentimental Journey, la canzone resa celebre alla metà degli anni Quaranta da Doris Day e reinventata con la complice vocalità acrobatica di Giuppi Paone, parte un cammino scandito dal didjeridoo (l’ancestrale tubo degli aborigeni australiani dal suono cavernoso e inconfondibile) e dal suo partner ideale, lo zarb, il tamburo persiano dalla pulsazione profonda e scura; e poi voci, materie sonore le più varie, clarinetti e sax (di cui Laneri è esecutore provetto), flash Bachiani in vesti gioiosamente paesane, echi del Mood Indigo ellingtoniano e, infine, una maliziosa ars combinatoria che compone il tutto in un imprevedibile caleidoscopico collage. Il sincretismo quasi bulimico di Laneri incorpora un vissuto che è transitato attraverso le più disparate esperienze e concrete pratiche musicali, dal didjeridoo al canto armonico dell’Asia centrale. Né esperimento, né new age, piuttosto un gioco, sorridente, evocativo e liberatorio. 
(Giordano Montecchi, L’Unità, 29.01.2011)

Il tuo disco è una grande geniale follia che riesce a missare l’impossibile: jazz, opera, world music, musica classica, musica tribale. La cosa più importante, musica libera nel cuore. 
(Fran Muñoz Antón, programming director, CANAL 9 RADIO, LAS PALMAS DE GRAN CANARIA – ESPAÑA)

Un didgeridoo viene raggiunto da una voce sognante e sognata e presto il rumore ridondante dei fiati che l’accompagnano si fa più netto e abbandonando il didgeridoo prende forma in questa versione sospesa di Sentimental Journey, il brano che dà il titolo a tutto il cd. Mi ha lasciato di sasso quest’arrangiamento che parte dal nulla, cresce forte e vigoroso e poi torna a sfumare, ad abbassarsi e infine a dondolare ebbro di se stesso fino a scomparire. Voci impalpabili, didgeridoo, sax, clarini, percussioni ed altri suoni confusi s’inseguono senza sosta in questa ultima fatica di Laneri ma nel mentre si tenta di capire l’inafferrabile, tutto diventa più chiaro: il clarino, il sax o il didgeridoo prendono il sopravvento e raccontano favole sonore d’altri tempi. La bravura, la tecnica e l’esperienza dell’autore servono ad intrecciare datato e moderno, rumore e musica, parole e silenzi. Un cd che ad un primo ascolto può risultare difficile ma se posso permettermi un consiglio provate ad ascoltarlo prima un paio di volte distrattamente, mentre fate altro, e poi molto attentamente. Sentirete cose diverse a seconda di come vi porrete, canto armonico, musica classica, note simili a canti pigmei, percussioni che sembrano tabla rallentate, voci strane, che daranno visioni sonore precise ma visioni mentali diverse ad ognuno. 
(Ilario Vannucchi)

Lo adoro! Grande varietà-e uso molto vario del didjeridoo. Tutto lavoro di studio? Ho sempre apprezzato i sussurri elettronici di pezzi conosciuti-tutta quella roba ai confini del sogno, sicuramente indizi di jazz e sentimentalismo. Credo che il mio pezzo preferito sia Mood Indigo. Solido didjeridoo nelle sue oscillazioni di tono-da brivido! 
(Ron Nagorcka, compositore e suonatore di didjeridoo)

Compositore di musica contemporanea, studioso di tradizioni musicali extraeuropee, polistrumentista, frequentatore della scena jazzistica italiana degli anni ‘60 e attualmente docente al conservatorio di Firenze, Roberto Laneri ha tra i suoi maestri anche Charles Mingus, ed è oggi un musicista eclettico ed originale, così come questo CD, Sentimental Journey. Un lavoro di cui è al tempo stesso facile e difficile parlare, perché da un lato ha una struttura coerente e caratteristica, dall’altro non si inquadra in alcun possibile “genere”. Siamo infatti di fronte ad una musica fondamentalmente onirica. Lo è già programmaticamente, visto che nella presentazione il brano che titola il lavoro viene ricollegato ad un ascolto infantile e al suo significato simbolico, di apertura verso un meraviglioso universo di suoni. Lo è concretamente, perché quell’universo meraviglioso e indefinito viene messo in scena attraverso la composizione di molteplici sonorità, strumentali (ance, dijeridoo, zarb, kontshovka, suonate da Laneri e sovraincise), voci (di Laneri e Giuppi Paone) e percussioni, spesso missare con eco ed effetti stranianti. Ed infine lo è come struttura, fondendo in un complesso organico e coerente ispirazioni classiche (“BachAria”) e jazzistiche (“Mood Indigo”), ritmiche (“Tough Tigers”) e liriche (“Pienezza di luna”), africane (“Metamorphosis 1”) e orientali (“The Landing”). Alla fine, un disco intrigante, etichettabile solo come “contemporanea”, che vuol dir molto e niente, se non che vi è molto di originale e che necessita l’ascolto per capire. Non è poco, nell’era del “pronto da cuocere”. 
(Valutazione: 3.5 stelle, Neri Pollastri, All About Jazz)

Sognando con le note
Attesa fervente, batte il cuore, un treno che corre, da lontano le voci attraversano l’aria, eccolo un vento dolce e insinuante che giunge e accarezza la testa, la mente, l’anima tutta. Melodia, ricordi, viandanze che sciolgono ogni resistenza. Basta lasciarsi andare sulle note, lasciarsi frammentare nel mosaico di forme sonore, perdersi nel caleidoscopio che si apre, si chiude e ricompone ogni volta. Ci racconta, l’autore, che la voce di Doris Day in Sentimental Journey ha dischiuso a lui bambino questo viaggio immaginario: una voce perfetta, pulita, tintinnante e morbida, seducente. Ne ho un simile ricordo e un simile effetto/affetto. Devo averla ascoltata in Venezuela, negli anni ’50, anch’io bambina, e quella ondulante e avvolgente melodia mi ha sempre risvegliato profonda commozione capace di aprire grandi scenari di libertà. Essere in viaggio senza paura, con la nostalgia che ci accompagna insieme alla scoperta del nuovo. Un viaggio che va, mentre torna e ritorna mentre va. Si può davvero tornare a casa senza perdersi prima? E di che casa si tratta? Viaggia Roberto Laneri e torna un po’ qui e un po’ là, a tutto il mondo di suoni e composizioni che caratteriza la sua ricerca. La sua strada non è quella di Doris Day, naturalmente. Non può essere la stessa in un mondo così irreparabilmente nuovo, i cui paesaggi sono in perpetuo mutamento, sotto cieli, luci e ombre sempre diversi, un mondo nel quale tutte le musiche si stanno incontrando e fecondando a vicenda, mentre gli uomini fanno le guerre. La musica – questa è la sua potenza – ‘fa pace’, può avvicinare, mettere amorevolmente insieme tutti i suoni della terra. E anche la musica del tempo, il passato lontano e più vicino. Laneri riesce a fare questa magia. Tutto diventa presente e vicino, e al tempo stesso evocativo di un viaggio lungo, lunghissimo, in qualche modo eterno. L’anima individuale, riesce a intonarsi a quella collettiva, inconscia, perenne. Per brevi istanti, minuti, l’incanto può durare e rinnovarsi a ogni nuova composizione. E allora ecco le tappe che si susseguono, anche se il viaggio potrebbe cominciare da ciascun pezzo, circolarmente: Le Metamorfosi incalzano, urgono, non si può rimanere sempre uguali, anche se a volte ci pensiamo immutabili e immortali. Bisogna imparare a scoprire le sottili mutazioni e le discrete variazioni di una nota sola. Si può anche lasciarsi Massaggiare l’anima dalla musica che poi ci prepara all’ascolto rivitalizzante di un’ Aria di Bach, per poi abbandonarci languidi alla luminosità struggente di una Luna piena incantatrice. Ah! Poterci restare su questa luna un po’ più a lungo … Le polifonie ci riacchiappano subito come un fiume placido che all’improvviso incontra delle piccole rapide. Niente di pericoloso, solo un fervere di bollicine, rinfrescante, una voluttuosa doccia di note. La voce di Giuppi Paone gioca con se stessa e ci porta dentro alle mille rifrazioni di specchi sonori. Di nuovo il diverso e l’uguale che si rincorrono fino ad atterrare – Landing – sulle note e fondamentali degli armonici. Un’altra doccia, forse un massaggio, no, niente del genere. Questa volta è il dentro più profondo, qualcosa in mezzo al petto che si risveglia e rimane contenuto, centrato, immobile, potente, l’energia che si apre lentamente senza disperdersi. Sì, a terra, ma senza peso, poggiati saldamente. Pronti a incontrare le Soft tigers e le Tough tigers – tutte le tigri richiedono sempre prudenza, soprattutto quelle che potrebbero lacerare l’anima. Le prime si affacciano su un tappeto esotico e ipnotizzante, intessuto con tutte le terre, i colori, le percussioni di continenti lontani. E’il dijeridoo che in realtà conduce il branco, perché il sax da solo non ce la potrebbe fare. Le seconde, quelle più pericolose e inquietanti hanno bisogno degli armonici, di voci umane e non umane, per essere tenute a bada. Un’improvvisa virata di ritorno ci riporta a una parentesi occidentale – il jazz rivisitato di Mood Indigo – che poi riapre su Pangea, lasciando sullo sfondo l’eco di strumenti convenzionali oscurati dalla prepotenza del dijeridoo. Come suonano ‘semplici’ i nostri classici strumenti musicali pur così raffinati e precisi nella loro costruzione, rispetto a un ‘elementare’ dijeridoo che è invece in grado di evocare esperienze di ascolto così complesse e multiformi! Forse è così perché i nostri ci siamo abituati ad ascoltarli fin dalla nascita, mentre gli strumenti indigeni o esotici vanno a sollecitare nuove aree di attenzione sensoriale e psichica? Anche di questo, allora, dovremmo essere grati alla musica di Laneri. Nell’ascolto si spalancano orizzonti visivi e sinestesie di tutti i generi. Siamo davvero là, in ciascun luogo, con i colori, gli odori, i visi e i corpi di altri uomini e donne, a noi simili e dissimili e siamo anche nel non-luogo del nostro mondo interiore, ciascuno con la sua personale rappresentazione. Drum Talk mette insieme più scopertamente l’amalgama perfetto tra suoni di sintesi, prodotti dalle strumentazioni tecnologiche delle nostre società avanzate, e suoni in apparenza provenienti da strumenti acustici, dei popoli indigeni e poveri, nonché voci umane naturali. Ma la vera origine di ciascun suono non è più controllabile, persa com’è nell’insieme armonioso. In fondo possiamo ascoltare il sogno su CD proprio in virtù di questa nuova creazione che non riguarda solo la composizione musicale ma anche la sua riproduzione e diffusione al pubblico. Ho avuto più volte l’occasione di ascoltare dal vivo i concerti di Roberto Laneri e certamente si tratta di un’esperienza diversa e forse più completa. Come immagino accada per molta altra musica. In realtà l’intima e ripetuta fruizione dei diversi brani, con la qualità che solo il CD permette, permette di scoprire non solo nuovi elementi delle composizioni ma soprattutto nuove reazioni personali ai moltissimi aspetti creativi che Laneri introduce nel suo lavoro artistico. Non ci si abitua mai del tutto. Si potrebbe anche dire di lui che è uno ‘scompositore’ non solo un ‘compositore’, veramente originale, anzi unico. Il sogno con i suoni non a caso finisce con un altro classico, che rispecchia e riecheggia il titolo del CD: da Sentimental Journey a Dream a Little Dream of Me. Dopo aver fatto il giro del mondo, il viaggiatore torna all’intimità della notte, di un sogno piccolo ma personale – “sogna di me, un piccolo sogno può bastare”. Allora, forse è anche questo il senso di home, la casa a cui tornare che il viaggio sentimentale indica. Una casa interiore, un sentimento, un pensiero, un sogno dove le cose stiano in serena pienezza. Almeno per un poco. Grazie Roberto. (Elena Liotta, psicoanalista jungiana

Recensioni su ESCHER


Comincia e finisce con il blues questo cd che è certamente innovativo, come impianto e come concetto, ma che gioca con chi ascolta lasciandogli il respiro anche di suggestioni note e non stravolte come nell’ altro lavoro di Laneri recensito in questo stessa newsletter. Una sorta di viaggio nei suoni, per stessa ammissione dei due artisti, che esplora dei suoni tutti gli aspetti possibili: la morbidezza melodica del sax e del clarino, assecondata dalla morbidezza armonica del pianoforte e dall’indolenza delle percussioni (“Imaginary Crossroads”); o, quasi in forma di nostalgica reminiscenza, il blues piu’ antico possibile, in cui il pianoforte disegna l’ ostinato che è quello che caratterizza proprio il blues tradizionale, per poi sfociare in un breve episodio destrutturante e quasi atonale da musica contemporanea europea, salvo ritornare a quel blues iniziale, “sporcato” pero’ da qualche creativa digressione, anche in forma di “rumore”; o alla dimensione quasi onirica dell’alternanza dondolante di due accordi solamente, di sapore orientale, in cui l’atmosfera è garantita sia da questa altalenanza armonica, che dagli intervalli aumentati perseguiti da tutti gli strumenti, sia dall’ improvvisazione cullante ma mai ripetitiva del pianoforte; o invece la pungolante – non melodica – non ritmica – “cibernetica” atmosfera di “Wind & Water Dance”, che quando si apre su fraseggi ed accordi di ampio respiro non rinuncia ai suoni birichini e puntuti nel sottofondo; o lo spessore sonoro continuo di “Circular Crossroads” in cui il clarinetto basso disegna uno sfondo scuro su cui i fiati nel registro acuto ricamano digressioni melodiche improvvisate quasi preziose, ricordando visivamente in alcuni tratti dei ghirigori dorati ricamati su una pesante preziosa stoffa nera, fino ad assottigliarsi nel suono affascinante del didjeridoo, che rimane da solo. E’ un lavoro (a parte i due blues iniziale e finale, registrati in presa diretta) interamente costruito con sovrapposizioni, molto curato, molto interessante e da godersi nel silenzio assoluto senza appigliarsi con la vista e con l’ udito a nessuno spazio o tempo circostante, per tutta l’ ora della sua durata. Nuovo, esteticamente molto gradevole, rilassante, interessante. 
(Daniela Floris)

Album o progetti ripropongono la figura eterodossa e creativa di Laneri (compositore, polistrumentista, specialista di canto armonico, docente di conservatorio). Formatosi soprattutto negli Usa, collaborazioni con Charles Mingus e Peter Gabriel, il clarinettista-saxsopranista propone un viaggio circolare che inizia e parte dal blues (il primo monkiano e lacyano, l’ultimo con echi immaginari di J.Dodds) passando attraverso una serie di brani-tappe dalla forte ispirazione spazio-temporale: dal Colorado all’antico Egitto, dal “Sud” come categoria mentale alla California. Gli è complice il pianista Fabio Sartori e si fa uso di sovraincisioni ed elaborazioni elettroniche. La musica di Roberto Laneri non è mai descrittiva, piuttosto evocativa e visivo-visionaria, essenziale, profonda. 
(Luigi Onori, ALIAS, Il Manifesto, 1.10.2011)

Recensioni su DREAMTIME PROJECT


Occhi spalancati e sensi allertati per uno spettacolo (visto al Teatro Vascello di Roma) che affronta la magia. Perché l’esperienza umana, a ben guardare, è magia. Ben lo sanno gli aborigeni. E bene lo hanno capito Ilaria Drago, Roberto Laneri e Alberto Tessore che hanno costruito questo progetto lungo un’ora e il tempo delle onde che lascia dopo la sua visione. (…) La poesia si fa un flusso suadente, spezzato dai suoni di un uomo a terra che soffia l’origine del proprio spirito nell’archetipo di un alito vitale dentro il lungo tubo del didjeridoo e spande l’attualità nel sax soprano eliminando ogni distanza tra ciò che era e ciò che è. 
(Avanti, 20.10.2005)

Recensioni su BREATH


Il respiro della musica
Il viaggio tra suoni e culture del polistrumentista
Il nuovo doppio CD di Roberto Laneri, BREATH-MUSICA IN FORMA DI CRISTALLI, testimonia la sterminata cultura musicale di questo intrigante personaggio che abita il pianeta della musica d’oggi. Clarinettista, sassofonista, virtuoso di didjeridoo, aeroono ad ancia labiale degli aborigeni australiani, Laneri è anche un cultore del canto armonico, vale a dire quella tecnica che esalta gli armonici della voce umana e che mette in condizione il cantante di produrre simultaneamente due o più suoni. Competenze diverse e persino lontane nascono in realtà da una biografia musicale molto composita e a dire il vero persino agitata, che dalla musica classica europea si allarga alle avanguardie del Novecento, Lucuano Berio e Pierre Boulez, al jazz d’avanguardia, e alle culture musicali extraeuropee, dove evidentemente nasce l’interesse o per meglio dire la passione per il canto armonico. Tuttavia parlare di fusione o multietnicità potrebbe risultare fuorviante, poiché Laneri dimostra un profondo rispetto per le culture altre, che non mai per così dire scimmiottate in salsa discografica, quanto piuttosto conosciute e usate per allargare una paletta espressiva molto personale. Il disco raccoglie due progetti distinti, ma che si rispecchiano sin nel numero dei brani, 7 ciascuno. E che la simbologia numerica abbia qui un peso lo dimostra il fatto che in entrambi i casi il brano centrale, il quarto su sette, corrisponde a due diverse riletture di Spiritual di John Coltrane. Si tratta di un pezzo in cui, proprio allargando il suo linguaggio alle scale indiane, Coltrane intraprende quel percorso di progressiva liberazione dalle regole che perfino il jazz, con la sua tradizione, in qualche modo impone: una esigenza di libertà espressiva che evidentemente Laneri sposa. Il primo CD, Breath, è una performance a solo di Laneri, coadiuvato da registrazioni e campionamenti, e dopo quanto detto non ti aspetteresti proprio che sia aperta e chiusa da due danze, una Allemanda e una Bourrée, prese dalla Partita Bwv 1013 di Johann Sebastian Bach, ampiamente reinterpretate da Laneri al sax soprano, in chiave di gustose improvvisazioni. In realtà i brani di Bach sono l’ingresso e l’uscita per una introspezione musicale dove parametri musicali distinti, come suono, armonia, ritmo, melodia, divengono liquidi intrecciandosi fluidamente. L’interesse per l’introspezione deve essere alla base del collegamento tra Laneri e un personaggio come Giacinto Scelsi: alcuni estratti dalla seconda parte della autobiografia Il sogno 101 di Scelsi sono alla base di Musica in forma di cristalli, che vede protagonisti una voce recitante, Ilaria Drago, e l’ensemble di canto armonico IN FORMA DI CRISTALLI fondato e diretto dallo stesso Laneri. In questa suite si dispiega un virtuosismo compositivo che rilegge in modo assai divertente il celebre Complainte di Guillaume de Machaut da Le reméde de fortune, e poi la musica medioevale della scuola di Notre Dame, vale a dire l’inizio della polifonìa in occidente, i canti pigmei, il citato Coltrane e persino echi irlandesi. 

(Luca del Fra-L’Unità, venerdì 29 marzo 2013)

Recensioni su LA VOCE DELL’ARCOBALENO


Cantare gli armonici cioè la vita Nuova edizione per il manuale sugli ipertoni di Roberto Laneri Torna in libreria in una nuova edizione La voce dell’arcobaleno (pagine 288, euro 14, Edizioni Il Punto d’Incontro), un «manuale» di canto armonico, scritto dal massimo esperto italiano in materia, Roberto Laneri, che è anche un meraviglioso viaggio sulla vita intesa come vibrazione. Musicista eclettico e originale Laneri è conosciuto, oltre che come compositore, arrangiatore, docente di clarinetto ed esecutore di una vasta varietà di strumenti (sax alto, sax soprano, clarinetto, clarinetto basso, didgeridoo) per il suo lungo ed approfondito lavoro sul canto armonico al quale si dedica da decenni come esecutore e studioso. In parole semplici, gli armonici, o ipertoni, sono i suoni che compongono un suono (in pratica so- no responsabili della modellazione di un suono e dell’unicità del timbro di ogni strumento) e la loro sequenza segue un ordine preciso, matematico. Il rapporto tra le frequenze di una serie armonica produce le stesse frazioni scoperte da Pitagora nei suoi esperimenti con il monocordo e che definì archetipi della forma, dimostrazioni dell’armonia e dell’equilibrio che si potevano osservare in tutto il mondo. La musica e la vita coincidono secondo il filosofo. E l’osservazione non vale solo per lui: nelle antiche tradizioni sciamaniche della Mongolia, dell’Africa, dell’Arabia e del Messico, nelle tradizioni cabalistiche del Giudaismo e del Cristianesimo e nelle sacre tradizioni spirituali del Tibet, i suoni vocali e gli armonici sono stati usati per guarire e trasformare, per co- municare con il divino e per bilanciare i centri energetici del corpo. Nella Voce dell’arcobaleno, Laneri porta il lettore passo passo dentro la natura degli armonici e nella storia della musica e della ricerca spirituale dell’umanità. Per approdare, infine, all’insegnamento delle tecniche vocali che permettono di cantare gli armonici. 
(Valeria Trigo, L’Unità, 3 aprile 2012)

Recensioni su IL CIELO DI INDRA


Scoprire che il bianco non è privo di colore, ma li contiene tutti, apre uno spazio nuovo e fascinoso nella mente. Scatta da quel momento una piccola ‘caccia’ verso ciò che esiste al di là di quel che gli occhi vedono, che può perdersi come un fiume nel deserto o invece fare frutti e dilatarsi nel ‘sentire’ la vita. Per ciascuno suona diversamente il tintinnio del ‘risveglio’. Per il musicista Roberto Laneri è stata la scoperta di ciò che si celava nella voce: “Nell’estate del ’72 mi accadde di fare un’esperienza spontanea di canto armonico….Allora non potevo sapere che quell’esperienza si sarebbe in seguito rivelata come il singolo fattore di trasformazione più efficace e dirompente nella mia vita, che mi avrebbe portato ad un cambiamento totale nei confronti della musica, e non solo di questa”. Sono passati 40 anni da quel tintinnio di metamorfosi ed ora Laneri è al suo secondo libro sul canto armonico, edito quest’ultimo da Terre Sommerse, il cui titolo, Nel cielo di Indra è già visione. ‘Si dice che nel cielo di Indra-recita il Sutra buddista-vi sia una rete di perle costruita in modo che guardandone una in essa si vedono riflesse tutte le altre. Allo stesso modo, ciascun oggetto del mondo non è semplicemente se stesso, ma coinvolge ogni altro oggetto, ed in effetti è ogni altro oggetto’. Ecco, per Laneri il canto armonico è proprio il cielo di Indra. “E’ una cosa reale – spiega in un’intervista all’Adnkronos il compositore e polistrumentista che fino al 2011 ha insegnato al Conservatorio L. Cherubini di Firenze – perché ogni suono ne contiene molti altri, contiene cioè la serie degli armonici come una rete sottile, per chi è in grado di riconoscerla. Come il corpo astrale che esiste, oltre a quello fisico, anche se c’è chi non riesce a vederlo, così ogni suono ha in sé i suoi armonici. E’ come se noi prendessimo in mano un libro e riuscissimo a vederne tutte le relazioni subatomiche. Per questo – rileva – praticare il canto armonico significa sviluppare queste possibilità di interrelazione, all’interno di sé e con gli altri. Per me-dice Laneri, performer di canto armonico-la musica non è una sovrastruttura, ma è la struttura reale dell’Universo, la sua struttura energetica. E così acquisire consapevolezza di questa rete energetica, cambia la vita”. Nel cielo di Indra è un vero e proprio manuale pratico di canto armonico, accompagnato da un cd ed “è stato scritto-fa sapere Laneri che suona anche il didgeridoo-per rispondere a quello che sembra essere il problema primario di coloro che hanno ricevuto un’introduzione alle tecniche del canto armonico e non riescono a trovare occasioni di pratica e di evoluzione, sia tecnica sia spirituale”. “Tipicamente il primo impatto, dovuto ad esperienze di workshops o ad altre situazioni di ‘esperienza armonica-osserva il musicista che ha inciso per le più importanti stazioni radio e ha all’attivo numerosi dischi-è comunque molto forte, al punto che per molti (come a suo tempo per me) la prima esperienza di canto armonico può essere assimilata a una vera e propria iniziazione, intesa come salto quantico della percezione sonora. Il risultato-evidenzia-è un’impennata del livello energetico dell’individuo, che tuttavia rischia di vanificarsi qualora non sia sostenuta da un’esperienza non più una tantum bensì calata nel quotidiano”. E per Laneri “un fattore che rende possibile questa integrazione è la struttura stessa del canto armonico, imprescindibilmente modellata sulla serie degli armonici, che come qualsiasi progressione geometrico-matematica è di per sé vuota di contenuti personali, che possono essere implementati dai singoli secondo modalità infinitamente diverse. In genere non amo azzardare previsioni, tuttavia-osa il musicista, eletto nel 2002 membro creativo del Club di Budapest, fondato da Edwin Laszlo per una nuova coscienza planetaria-mi piace ipotizzare un universo qualsiasi (compreso il nostro universo condiviso) in cui, dopo la prima esperienza, ogni praticante riesca ad incorporarne procedure, tecniche e modalità nel proprio lavoro e nella propria vita, in modo tale che al salto della percezione acustica corrisponda il formarsi di un qualcosa che si può definire come ‘pensiero armonico’ o ‘coscienza armonicale’. E’ soltanto allora che l’esperienza originaria ha la possibilità di diventare formativa e trasformativa”. 
(Veronica Marino, Roma, August 18, 2014, Adnkronos)

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